giovedì 2 aprile 2015

Philip K. Dick & Fashion Consciousness ...

Source: Francacirano
 L'altra sera rileggevo La Pulce D'acqua uno dei racconti più recenti di Philip K. Dick.
In questo racconto il buon Dick immagina un futuro lontanissimo, dove gli esseri umani hanno imparato a viaggiare nel tempo, ma hanno perso tutti i capelli e altre parti anatomiche.
Senza tirare troppo per le lunghe, i nostri viaggiatori dal futuro decidono di tornare nella nostra epoca.
La macchina del tempo garantisce il viaggio, ma che dire del look?
"Vado nel Passato! Wow, ma cosa mi metto?"
Gli uomini del futuro di cui sopra conoscono la nostra epoca pressapoco come noi conosciamo la vita e le abitudini dei Sumeri. Esistono degli archeologi che hanno scavato dalla terra diversi oggetti d'uso quotidiano e si sono fatti un'idea, come potevano, delle abitudini in fatto di abbigliamento dei loro avi.
Per cui i viaggiatori di Dick atterrano nel XX secolo indossando coloratissime parrucche da clown e altri accessori improbabili.
Non c'è niente da fare, le pratiche in fatto di abbigliamento sono quanto mai complesse e  strettamente intrecciate con il contesto socio-culturale a cui appartengono. Questo le rende difficilmente decifrabili senza condividere lo stesso bagaglio di competenze culturali e sociali. Per questo viaggiare nel tempo, qualora fosse possibile, ci metterebbe di fronte al grande dilemma, spesso quotidiano e contemporaneo, del "cosa mi metto?".
E a quel punto, forse, si svilupperebbe una nuova corrente di stylist e blogger specializzati in outfits e buon gusto d'epoca.


Source: Oystermag
Ma veniamo al sodo.
Belli i vestitini ... però, come funziona dal lato pratico questa cosa per cui le nostre case e le nostre discariche sono stracolme di vestiti e intanto i negozi d'abbigliamento sono sempre più carichi di abiti e accessori di tutti i tipi e per tutti i gusti.
Quanti corpi dobbiamo possedere per indossare almeno una volta tutta questa roba!
Perché ne abbiamo così bisogno. Non mi basta pensare che l'ufficio marketing dei grandi distributori di stracci mi fa il lavaggio del cervello. Se così fosse basterebbe opporsi.
Vestiti e accessori vari sono gli oggetti di uso quotidiano con i quali abbiamo il rapporto più intimo. I vestiti vengono indossati sul corpo diventando una seconda pelle che ci segue in tutte le nostre attività e ci rappresenta agli altri. L'abito protegge e comunica.
La moda è un fenomeno contemporaneamente fortemente sociale e decisamente individuale, un atto volontario ma totalmente controllato - e non mi riferisco solamente ai migliaia di esperti che ci insegnano come vestirci in maniera adeguata che appestano riviste, web e programmi televisivi - perché ognuno di noi sa molto bene cosa si deve mettere in una determinata occasione.
Purtroppo, nessuno di noi  andrà mai a fare la spesa con un abito da sposa bianco con strascico - a meno che non sia un performer o un pazzo. E nel caso a qualcuno venga in mente di farlo in nostra presenza ce ne staremmo tutti lì ad esprimere opinioni e giudizi chiedendoci se stiamo assistendo ad una performance o se dobbiamo chiamare un ambulanza senza bisogno di chiedere il consiglio di un esperto.
Inoltre, almeno è questo l'aspetto che mi interessa di più, la moda è un'industria ipercapitalista che si basa su pratiche consumistiche smodate, ma poggia su pratiche produttive arcaiche.
Sono pochissimi gli studi sulla produzione della Moda e altrettanto scarse sono le indagini empiriche sulle manifatture, gli apprendistati e la vendita.
Le grandi case di moda non concedono l'accesso ai luoghi in cui producono. Sia per nascondere le condizioni di lavoro in alcune fasi del processo produttivo, sia perché i meccanismi di produzione sono sgradevoli.
Un abito prima di essere un abito è un mucchio di stracci accatastato sulla postazione di lavoro di operai malpagati in strutture fatiscenti.
Il contesto è tutto, considerando che acquistiamo un abito anche, e sopratutto, perché crediamo nel suo potere magico di trasformarci in qualcosa di più di quello che siamo.
Tutti lo sappiamo:
La produzione in serie d'abbigliamento è sfruttamento.
Sweatshop, designer sottopagati, modello industriale sviluppato su basi sessiste e razziste e abuso di manodopera minorile.
Tutti lo sappiamo, ma non facciamo niente.
I vestiti sono necessità fondamentali. Gli umani sono scimmie senza peli, questo rende indispensabile utilizzare manufatti per difenderci dagli agenti atmosferici.
Inoltre i vestiti vengono indossati a stretto contatto con il corpo.
Il nostro corpo si muove, suda, si sporca, ma sopratutto cambia forma nel corso del tempo. Questo rende i capi soggetti ad usura e spesso ad una premature senescenza.
Inoltre è questo legame con il corpo e la sua fisicità che rende complessa la produzione in serie.
Il corpo umano è una forma tridimensionale complessa e ricoprirla in maniera sempre diversa con materiali bidimensionali lascia delle sfide aperte sia per quanto riguarda la standardizzazione della progettazione - lo sappiamo tutti che le taglie sono delle astrazioni statistiche - che la confezione. La tecnologia per cucire è ferma al 1851 quando la Singer inventò la macchina da cucire che allora come oggi può operare su un capo per volta.

Source: Obekti
Un capo, una macchina, un umano. Spesso un umano sfortunato rigorosamente di sesso femminile!
Non è finita.
La moda è un'industria complessa e composta da diverse parti e processi con caratteristiche differenti.
La produzione delle materie prime coinvolte nel processo.
Filatura tessitura e tintura di questi materiali.
Creazione del modello.
Taglio.
Confezione.
Distribuzione e vendita del capo finito.
La creazione delle stoffe è un'industria ad alto impiego di capitale. Bisogna investire in macchinari complessi che richiedono spazi adeguati e materiali grezzi. In questo tipo di produzione la produttività, i margini e le economie di scala sono basilari e hanno stimolato la ricerca in ambito tecnologico. Questo tipo di produzione ha quindi beneficiato di un certo tipo di partecipazione alla rivoluzione industriale.
Diversamente, la confezione del capo è un tipo di produzione a basso impiego di capitale, ma ad alto impiego di manodopera.
Richiede un piccolo investimento in macchine e stabili, ma dipende largamente dalle competenze tecniche e dal lavoro manuale.
Un capo, una macchina e un umano appunto.
Tenendo presente che la macchina in questione è praticamente la stessa Singer del 1851 con poche migliorie tecnologiche. Resta da chiedersi per quale ragione queste competenze tecniche così fondamentali per la confezione siano così poco qualificate e retribuite. Sarà perché a cucire sono sempre state le donne? Sarà perché la confezione di abiti è nata come lavoro a domicilio fatto da donne? Sarà che queste donne cucivano prima a mano e poi a macchina, ma sempre a casa, così da restare attive e produttive tra un lavoro domestico e l'altro?
Insomma questo lavoro domestico altamente specializzato, ma scarsamente qualificato e pagato, ha fatto sì che la confezione di abiti sia ancora una manifattura occasionale, flessibile e su piccola scala in cui a prendersela come al solito in quel posto sono sempre le donne. In questo caso strumento attraverso cui imprenditori senza scrupoli, maschi e femmine, possono avviare iniziative imprenditoriali caratterizzate dalla scarsa tutela di chi i vestiti li fa.
Per questo mi chiedo, ma come è possibile che tutti sappiamo come stanno le cose e non facciamo niente?
Tutti sappiamo come vengono divisi gli utili della moda. Manager e dirigenti si dividono il grosso della torta e per chi progetta, confeziona e vende solo le briciole e a volte neanche quelle!!
Ma chi se ne frega!!! Let's go shopping!

Queste sono alcune delle immagini che appaiono su Pinterest inserendo Shopping Quotes nei parametri di ricerca ... Molti dei risultati sono sessisti e irrispettosi ... almeno a mio avviso ...
Il modo attraverso cui la moda viene consumata e percepita è complesso.
Complesso è anche il valore che attribuiamo alle cose e come traduciamo questo valore in denaro.
Desideriamo intensamente ed emotivamente qualcosa che consideriamo futile.
Lo vogliamo ad un prezzo basso perché sostanzialmente questo attenua il senso di colpa relativo alla nostra frivolezza e all'eccessiva importanza che attribuiamo al nostro aspetto e al nostro corpo che andrebbe invece domato e sottomesso nei suoi bisogni.
La faccio troppo semplice?
Che dire, vedo le stesse persone che possiedono un alto capitale culturale e sono attivamente impegnate nel sociale lesinare sul costo di una T-shirt senza minimamente chiedersi da dove arriva e come vive la persona che l'ha confezionata.
Questo mi spinge a pormi delle domande chiedendomi cosa posso fare io nella mia vita di tutti i giorni per dare il mio contributo alla causa togliendomi il gusto di esprimermi indossando abiti di buona qualità.
Queste sono solo alcune delle ragioni per cui è importante ricordarsi sempre che alla base dell'abito che indossiamo ci sono molti esseri umani. Alcuni coltivano e producono le fibre con cui vengono tessuti i capi, altri tingono, cuciono, tagliano e progettano. Tutti umani che non possono essere ingnorati.



... that's all folks!
A presto
B.V.

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